Ieri la prima escursione dopo tre mesi. Dato che viviamo in Lombardia, una regione piena di laghi, ieri il mio compagno ed io abbiamo pensato di salire sopra Cittiglio per vederli dall’alto, per capire quanto davvero ci si erano irrigiditi i muscoli, dopo una quarantena che ci ha tenuti seduti come non mai. Bello lassù, ma la sorpresa più grande invece l’abbiamo avuta ai margini del paese, alla fine di una frazione che si chiama Vararo, seguendo una strada sterrata che si addentra nel bosco.

Dopo mezzo chilometro, il bosco, incredibilmente, diventa un roseto. Ne segue tutti i declivi, ma per il resto è completamente addomesticato dalla mano dell’uomo. E l’uomo in questione, che qui ha coltivato la sua grande passione, si chiama Dario Martinello. Ha più di settant’anni, la voce alta di chi è pieno di ferro e d’energia, il corpo un fascio di nervi vestito di jeans, camicia a quadri e cappello di paglia. Il suo podere è aperto e visitabile gratuitamente.
Ci vede curiosare tra le prime file mentre traffica con il tagliaerba, dice “venite sù, salite ancora, ci sono quasi quattromila piante e alcune tra le rose più belle del mondo”. Esterefatti, vaghiamo tra i fiori assieme a api e farfalle, ammaliati dai colori e dai profumi di questo eden inaspettato. Tutto intorno il verde della vegetazione spontanea: faggi, tigli, betulle, castagni, alberi di sambuco pieni di fiori (giuro che tra poco farò lo sciroppo di sambuco!).

Non so nemmeno quanto sia eco-logica questa tenuta, anzi la visione iniziale dev’essere stata proprio eco-illogica. Perché nonostante sembri innestarsi perfettamente sul paesaggio circostante, questo giardino a balze è frutto di un lavoro immenso, niente del genere esisterebbe in natura, le rose sono tutti ibridi, l’impollinazione la cura direttamente Dario (“per ottenere queste forme e queste sfumature, alle rose faccio fare l’amore a modo mio”), il terreno è roccioso (“vanno nutrite”), le piante soggette a molti malanni (“vanno curate continuamente e disinfettate”). Infatti, fino a venticinque anni fa qui c’era solo una distesa di rovi e sterpaglie che aveva coperto pascoli in disuso.

Dario e la moglie Anna, che prima avevano un negozio di alimentari, hanno deciso di acquistare questo fondo abbandonato, ristrutturare il vecchio cascinale e trasformare il terreno incolto in un roseto, assicurandosi lavoro a tempo pieno anche negli anni del pensionamento. Dario in particolare ha seguito una passione ereditata dalla madre, esperta coltivatrice, secondo le certezze offerte dal suo tempo: le leggi della genetica (ogni rosa ha una genealogia esatta, bisogna certificare accuratamente genitori e “nonni” di ogni ibrido), della chimica dietro ai trattamenti, e soprattutto della forza di volontà. Anche quella di condividere la bellezza straordinaria del suo giardino, lasciando generosamente entrare chiunque si dimostri interessato, e regalando meraviglia e stupore a quelli arrivati per caso. Come noi.