Italian Reloaded

piccole storie italiane per ricaricare la mente e lo spirito

Paesi imperativi

“Paesi imperativi” è un video nato per gioco in seguito a un’attività didattica con studenti adulti per cui l’italiano costituisce una lingua seconda o straniera.

L’attività è basata sull’imperativo dei verbi alla seconda persona plurale (voi), ed è ispirato ai nomi di alcuni paesi della Lombardia che terminano con la desinenza
ATE (come in Casorate, Gallarate, Merate e molti altri). Questi toponimi ricordano la forma dei verbi regolari della prima coniugazione, in -ARE, che tra l’altro, tranne rare eccezioni, sono uguali all’indicativo presente e all’imperativo.
Ci hanno fornito quindi un pretesto per ricavare l’infinito di verbi che di fatto non esistono, ma di cui ci siamo divertiti a inventare il significato.


Teniamo a precisare che non c’è nessuna vera relazione tra la toponomastica lombarda, i luoghi a cui si fa riferimento – o i loro abitanti – e le nostre definizioni e descrizioni visive.
– ATE, in realtà, sembra essere un suffisso di origine celtica con cui ci si riferiva alla presenza di un clan e del relativo gruppo di abitazioni, in un determinato luogo. Le parole che lo contenevano, indicavano cioè appartenenza a una persona, una famiglia o ad un elemento geografico, di solito con valore aggettivale.

Il video può essere utilizzato semplicemente come input, ma dato il grande numero di toponimi in -ATE, con una cartina della Lombardia alla mano o attingendo da questa lista, è possibile continuare il gioco quasi all’infinito.


Nelle fasi iniziali dell’attività, in cui gli studenti, per timidezza, insicurezza, ecc., possono sembrare a corto di idee, è possibile per l’insegnante intervenire, elicitando e suggerendo elementi su cui lavorare.

Per esempio, nel caso di Cadrezzate, io ho approfittato dell’assonanza per raccontare che, in molti dialetti settentrionali, esiste il sostantivo “cadrega”, che significa sedia.
Influenzati da questo, gli studenti sono risaliti al (finto) verbo CADREZZARE e hanno pensato alla definizione: “disporre sedie o poltrone in uno spazio”.

Se vi state chiedendo quale sia lo scopo di inventare parole – di fatto non utilizzabili nell’uso della nostra lingua – con apprendenti stranieri, assicuriamo che si tratta di un esercizio molto divertente, e creativo, ma che richiede anche determinate conoscenze grammaticali e lessicali.

Noi abbiamo infatti provato ad attenerci alla forma delle definizioni sul dizionario, dove ogni parola è scandita in sillabe e dove viene indicato il genere transitivo o intransitivo di ogni verbo. Nel nostro caso si è trattato ovviamente di una scelta arbitraria, ma gli studenti, cercando di formulare alcune frasi con i verbi di fantasia, si sono interrogati, per esempio, sull’utilizzo o meno di preposizioni con questi verbi.

Si è rivelata inoltre un’ottima attività di valutazione e auto-valutazione, per misurare e testare il vocabolario degli apprendenti, e la sua possibile espansione. La ricerca di termini molto precisi per ogni definizione ha consentito di lavorare intensamente sull’accuratezza linguistica.
Nella formulazione delle definizioni, l’insegnante può contribuire fornendo significati, sinonimi ed esempi di verbi il cui uso è spesso relegato ad ambiti formali, poco utilizzati nel parlato (nell’esempio sopra, l’utilizzo del verbo disporre al posto di mettere).
Preciso che questa specifica attività è stata realizzata con studenti di livello B1 e superiore, ma si può semplificare anche per livello A2.

Per finire, la consapevolezza degli studenti di poter spaziare in qualsiasi direzione, sbizzarrendosi con parole e definizioni, lascia un grande margine di libertà e divertimento durante l’attività, con tutti gli effetti positivi che ne derivano. Naturalmente, è fondamentale chiarirne prima gli obbiettivi: se impareranno nuove parole non saranno quelle inventate da loro, ma si metteranno in gioco tutti i fattori precedentemente elencati, coinvolgendo elementi etimologici (dove ciascuno attingerà, più o meno consapevolmente, dalla propria madrelingua o interlingua), sociali, e, perché no, territoriali, come nel nostro video, per aggiungere un’ulteriore valenza culturale alla lezione.

Se usate il video e l’attività suggerita nelle vostre classi, non dimenticate di farmi sapere come va e quali nuovi verbi avete inventato!

Massimiliano Capalbo, l’imprenditore eretico

In questo periodo, a causa del modo in cui l’emergenza sanitaria sta riscrivendo la nostra vita sociale ed economica, siamo in molti a doverci confrontare con cambiamenti importanti, sia a livello professionale che personale. Oltre all’instabilità e incertezza generali, qualcuno ha subito gravi perdite economiche, altri hanno addirittura chiuso la propria attività o si sono ritrovati definitivamente senza lavoro.

Non è un momento facile, affatto, ma io penso da sempre che la crisi sia una sospensione del nostro sentire ed agire comune, quotidiano, per cambiare sguardo e mostrarci opportunità che altrimenti avremmo continuato ad ignorare. Chi si ritrova oggi a doversi reinventare da zero deve soprattutto imparare a mettere a fuoco questo sguardo. Le opportunità si trovano spesso in un paesaggio tutto interiore, ma proprio iniziando ad esplorarle possiamo espanderle, vedere come coniugarle con la realtà che ci circonda. Non si tratta solo di fare i conti con le proprie risorse personali, le competenze già acquisite, la spendibilità del proprio curriculum nel mondo là fuori, ma soprattutto cogliere l’occasione di riconsiderare propensioni e talenti naturali messi magari da parte da molti anni, in nome di contingenze ritenute più urgenti. In fondo i soldi per pagare le bollette, il mutuo, la retta dell’asilo dei bambini non crescono sugli alberi.
O così ci dicono. Ma se invece, quegli alberi potessimo piantarli noi?
Quando scrivo “alberi” penso a due cose: 

1) una metonimia, una parte per il tutto, dove alberi significano natura, territorio; 

2) una forma di intelligenza, quella del mondo vegetale, che può offrirci enormi fonti d’ispirazione, anche in ambito economico (dato che ecologia ed economia dovrebbero diventare un concetto unico in un futuro ideale) se solo imparassimo ad osservarla meglio.

Ecco questi pensieri mi hanno riportato alla mente le parole, e soprattutto l’esempio, di Massimiliano Capalbo, imprenditore eretico calabrese. Eretico perché, come suggerisce l’etimologia della parola eresia (dal greco αἵρεσις, haìresis) che significa “scelta” nel senso anche di svolta, ha scelto di investire in aree della sua regione che sembravano dimenticate, inventando per quei luoghi una nuova vocazione, senza nessun tipo di aiuto pubblico o privato. Sua per esempio l’idea di fondare, oltre dieci anni fa, “Orme nel Parco” il primo parco eco-esperienziale in Calabria e uno dei più visitati d’Italia. Sua l’idea di descrivere e radunare le iniziative simili a questa, volte cioè a valorizzare il territorio secondo un agire locale e virtuoso, perché potessero farsi modello per altri: le imprese eretiche, appunto, raccontate meravigliosamente nel blog ereticamente.it

Un’esperienza coraggiosa e non certo priva di difficoltà, che nasce però da un’osservazione costante e profonda dei problemi della sua terra e di un certo tipo di mentalità, poco incline all’innovazione. Per chi volesse approfondire quest’analisi rimando a un libro di Massimiliano che ho amato moltissimo, perché raccoglie considerazioni molto lucide (a volte scomode, taglienti, ma mai banali) sulla situazione meridionale, e soprattutto propone alternative, soluzioni, esempi concreti: “La terra dei Recinti” (Rubbettino, 2015).

Ricordo in particolare una citazione dalle prime pagine di questo volume, ispirata alle parole del filosofo Thierry Paquot:

Vivere nel lusso oggi significa potersi concedere uno stile di vita in grado di regalare spazio, tempo e silenzio. Tre elementi di cui il Sud Italia è straordinariamente ricco (…) In contraddizione con lo spirito della società dei consumi, secondo cui la prosperità degli individui dipende dalla loro capacità di accumulare beni materiali, in realtà, sono quelli immateriali ad essere senza prezzo.

Ecco, questi tre elementi spazio, tempo e silenzio si possono trovare abbondantemente nel nostro Sud, certo, ma ovunque in Italia, lontano dai grandi centri. Ce l’ha mostrato benissimo l’esperienza della quarantena durante l’epidemia di covid-19: la vicinanza con la natura, la disponibilità di spazi ampi, anche solo per far vagare gli occhi, se non sempre le membra, che si possono sperimentare nei piccoli paesi e nei contesti rurali in genere, hanno avuto un impatto sicuramente migliore a livello psico-fisico di quello subito da molte persone confinate nei grandi palazzi e condomini di città. Forse è diventato più chiaro che oggi, grazie anche alla diffusione della rete internet, lavorare lontano dalle metropoli non è solo possibile, ma può migliorare significativamente lo stile di vita.

Per questo che ho scelto di pubblicare adesso, su Youtube, un’intervista fatta un anno fa a Massimiliano Capalbo, in cui si parla proprio del fenomeno dello spopolamento dei piccoli paesi e di come invece sia auspicabile una sua inversione. Serve impegno, entusiasmo e tenacia, ma riportare l’ambiente al centro delle nostre vite, generando nuove forme di economia, diventerà prioritario negli anni che verranno. Questa è l’opportunità più grande offerta dai piccoli paesi, quelli che vengono abbandonati soprattutto dai giovani “perché non c’è nulla”. Ma, per citare ancora il libro: “…è proprio dove non c’è nulla che si può creare di tutto. Un luogo dove non c’è nulla è la destinazione ideale per quelle persone che hanno una spiccata propensione all’iniziativa e tanta voglia di fare”. E, se le idee mancano, è proprio la natura che può fornircene a bizzeffe. Penso, in questo momento, soprattutto a chi è disoccupato e in cerca di nuove opportunità: uscire dagli schemi costituiti, osservare sistemi diversi da quelli creati dall’uomo, potrebbe regalare quelle preziose intuizioni che alimentano ogni grande svolta formativa, professionale, umana (a ciascuno la sua eresia!).A questo proposito, stavo dimenticando di dire che ho conosciuto personalmente Massimiliano Capalbo durante il Tedx di Seminara (RC), il primo giugno 2019 (è stato un altro regalo che mi ha fatto la Calabria, io che campo a pane e videoconferenze di Ted, il mio primo Tedx dal vivo l’ho visto proprio lì!). 

Nel suo intervento, Massimiliano, legandosi anche alle ricerche di Stefano Mancuso di cui è allievo, ha parlato di come fare impresa ascoltando il linguaggio segreto delle piante, ispirandosi a modelli offerti dal mondo vegetale per progettare e condurre esperienze in natura e creare innovazione sociale. Ovviamente ho voluto intervistarlo già il giorno dopo!

Per maggiori info: massimilianocapalbo.it

E, dai miei scaffali di casa, qualche altro consiglio di lettura su quest’ultimo tema:

Plant Revolution di Stefano Mancuso (Giunti, 2017)
Verde Brillante di Stefano Mancuso e Alessandra Viola (Giunti, 2015)
Erba Volant di Renato Bruni (Codice Edizioni, 2015)
Per chi legge anche in inglese:
The secret life of trees, di Colin Tudge (Penguin 2006)
The Secret Teachings of Plants di Stephen Harrod Buhner (Bear&Co, 2004)

La piantagione di tè vicino al lago Maggiore

Da una parte la ferrovia del Sempione, dall’altra le acque cristalline del Toce.
In mezzo circa 20.000 piantine di camelia sinensis, ovvero la più grande piantagione di tè d’Italia e del Nord Europa. Siamo in Piemonte, a Premosello, in provincia di Verbania. Siamo più precisamente al centro di un’idea visionaria, quindi di una di quelle storie che amo tantissimo, che ha per protagonista Paolo Zàccara, titolare dell’azienda florovivaistica “La compagnia del Lago” (il Lago Maggiore, le cui sponde sono a una ventina di chilometri).

Prima di avviare questa coltivazione, il signor Zaccara si è occupato di azalee e camelie ornamentali per oltre trent’anni. Continua a farlo, peraltro, e anzi qui c’è un video in cui racconta come ha progettato un ombrario tibetano per proteggere le sue camelie più alte dal sole invernale.
Ma torniamo al tè. Qualche anno fa ha acquistato il terreno di Premosello, che si trova alle pendici delle Alpi, irrigato da acque purissime e prive di calcare, ottime dunque per la vegetazione delle camelie sinensis. Peccato che la zona, all’interno del Parco della Valgrande, circondata da boschi e lontana da centri abitati e aree industriali, sia così incontaminata che la possibilità di coltivare quel terreno, prima solo prato e pascolo, a un certo punto è sembrata venire meno, per vincoli ambientali e amministrativi. Un investimento enorme che stava per andarsene in fumo, assieme al coraggio e all’entusiasmo del suo “patron”.

Questi ostacoli fanno parte del percorso di ogni visionario e all’inizio sembrano insormontabili. Sono un appuntamento fisso, sembrano prendere forma proprio da certe perplessità altrui, come a convalidare le opinioni delle persone che su quel progetto non avrebbero scommesso una lira. Quelle che insomma pronosticano la classica zappa sui piedi, spauracchio vero di ogni agricoltore.
Ma se il visionario, pur vacillando perché vacillare è umano, rimane fedele al suo sogno, succede sempre qualcosa: una nuova legge, una delibera, l’amministratore delegato di una compagnia che ha fiducia nelle sue competenze e che per un po’ lo sostiene economicamente.

E quindi si comincia con le piantine in serra, poi in terra: 100, 500, 5.000…arriverà a 30.000 per entrare in produzione, tra un anno o due, quando avrà tutti i permessi del caso e la possibilità di raccolta e lavorazione meccanizzata, secondo la legge europea. Intanto, viaggia, visita le piantagioni asiatiche, impara ancora di più. Dà consigli a chi vuole coltivare le piantine in vaso o avviare una piccola piantagione domestica.

Nel frattempo il novarese Marco Bertona, forse il massimo esperto di tè in Italia, fa prove di essiccazione e lavorazione a mano con i germogli e le foglie più tenere delle camelie sinensis di Premosello. Produce piccole quantita di tè bianco, tè verde e tè nero. Proprio quest’ultima tipologia, nel 2019 viene selezionata dalla giuria internazionale del Black Tea Tasting Competition, in Cina.
Un centinaio i candidati e ovviamente dai paesi più affermati e legati alla tradizione: Cina appunto, India, Giappone, Sri Lanka.
Ma, sorpresona, il tè nero del verbanese vince il Gold Award, il premio più ambito della categoria!
La morale è che le visioni sono favole a lieto fine.

P.S. La strada per la visione, cioè per la piantagione, non è ben segnalata (lo sarà in futuro, ne sono certa, perché organizzeranno anche degustazioni e cerimonie del té): ma è bello anche andare in esplorazione, indovinarla, chiedere ai locali. Se vi capitasse di attraversare la Val d’Ossola in treno potreste addirittura osservare questa inedita distesa verde dall’alto, dato che la ferrovia passa giusto sopra i campi (il che mi ha ricordato moltissimo le piantagioni che ho visitato un anno fa in Kerala). Sul sito della Compagnia del Lago trovate comunque più informazioni e anche un numero di telefono cellulare. A noi ha risposto direttamente Paolo, gentilissimo, la voce calda, come il sorriso. Infatti poi l’abbiamo trovato lì, da solo, un sabato pomeriggio, a lavorare tra i filari di tè.

Aggiornamento: dal 2021 il tè di Premosello viene raccolto a mano, preparato e commercializzato da La via del tè – Firenze, che ha una lunga esperienza nel settore (e un negozio monomarca anche in centro a Milano).
La miscela che ho provato io – tè verde a foglia intera, con petali di rosa, calendula e aromi naturali – si chiama Aria ed è una delle cose più buone che abbia mai bevuto! Ce ne sono anche altre varietà (Assolo, sempre a base di tè verde, Sinfonia e Notturno a base di tè nero), ma, per le sue caratteristiche uniche, il tè italiano è ancora prodotto in quantità limitate, quindi è meglio assicurarsene una confezione pre-ordinandola nei relativi negozi o sul sito.

Il roseto nel bosco

Ieri la prima escursione dopo tre mesi. Dato che viviamo in Lombardia, una regione piena di laghi, ieri il mio compagno ed io abbiamo pensato di salire sopra Cittiglio per vederli dall’alto, per capire quanto davvero ci si erano irrigiditi i muscoli, dopo una quarantena che ci ha tenuti seduti come non mai. Bello lassù, ma la sorpresa più grande invece l’abbiamo avuta ai margini del paese, alla fine di una frazione che si chiama Vararo, seguendo una strada sterrata che si addentra nel bosco.

Dopo mezzo chilometro, il bosco, incredibilmente, diventa un roseto. Ne segue tutti i declivi, ma per il resto è completamente addomesticato dalla mano dell’uomo. E l’uomo in questione, che qui ha coltivato la sua grande passione, si chiama Dario Martinello. Ha più di settant’anni, la voce alta di chi è pieno di ferro e d’energia, il corpo un fascio di nervi vestito di jeans, camicia a quadri e cappello di paglia. Il suo podere è aperto e visitabile gratuitamente.
Ci vede curiosare tra le prime file mentre traffica con il tagliaerba, dice “venite sù, salite ancora, ci sono quasi quattromila piante e alcune tra le rose più belle del mondo”. Esterefatti, vaghiamo tra i fiori assieme a api e farfalle, ammaliati dai colori e dai profumi di questo eden inaspettato. Tutto intorno il verde della vegetazione spontanea: faggi, tigli, betulle, castagni, alberi di sambuco pieni di fiori (giuro che tra poco farò lo sciroppo di sambuco!).

Non so nemmeno quanto sia eco-logica questa tenuta, anzi la visione iniziale dev’essere stata proprio eco-illogica. Perché nonostante sembri innestarsi perfettamente sul paesaggio circostante, questo giardino a balze è frutto di un lavoro immenso, niente del genere esisterebbe in natura, le rose sono tutti ibridi, l’impollinazione la cura direttamente Dario (“per ottenere queste forme e queste sfumature, alle rose faccio fare l’amore a modo mio”), il terreno è roccioso (“vanno nutrite”), le piante soggette a molti malanni (“vanno curate continuamente e disinfettate”). Infatti, fino a venticinque anni fa qui c’era solo una distesa di rovi e sterpaglie che aveva coperto pascoli in disuso.

Dario e la moglie Anna, che prima avevano un negozio di alimentari, hanno deciso di acquistare questo fondo abbandonato, ristrutturare il vecchio cascinale e trasformare il terreno incolto in un roseto, assicurandosi lavoro a tempo pieno anche negli anni del pensionamento. Dario in particolare ha seguito una passione ereditata dalla madre, esperta coltivatrice, secondo le certezze offerte dal suo tempo: le leggi della genetica (ogni rosa ha una genealogia esatta, bisogna certificare accuratamente genitori e “nonni” di ogni ibrido), della chimica dietro ai trattamenti, e soprattutto della forza di volontà. Anche quella di condividere la bellezza straordinaria del suo giardino, lasciando generosamente entrare chiunque si dimostri interessato, e regalando meraviglia e stupore a quelli arrivati per caso. Come noi.

due parole su di me

Mi chiamo Katuscia, e mi occupo di cose diverse, a seconda dei momenti e delle circostanze, ma soprattutto di comunicazione.
Sono nata e cresciuta in montagna, nelle Dolomiti, poi ho vissuto in grandi città, anche all’estero, o in piccoli paesi in riva al mare. Ora abito vicino a Milano.

Mi piace viaggiare e potermi confrontare con culture diverse, mi piace raccontare le storie dei luoghi e le persone speciali che mi capita di incontrare, attraverso foto video, o testi scritti e, ovviamente, nessun mezzo esclude l’altro.

Amo ascoltare buona musica, vedere film (sto pure un po’ in fissa con Bollywood) e, in generale seguire, qualsiasi forma di narrazione: le idee, le parole o le immagini di altri mi aiutano a pensare e a trovare le mie. L’altro mio grande interesse è la pedagogia, qualsiasi età della vita riguardi.

Ogni sette anni circa cambio lavoro, non è sempre una scelta, ma spostarmi da una professione all’altra mi consente di ampliare la prospettiva, mi offre esperienze dirette per approfondire la mia visione della vita e degli altri.
Mi è capitato di fare, tra le altre cose, la cameriera, la segretaria, la libraia, la content creator ma anche l’educatrice.

La formazione costante, rientra nella mia passione per l’apprendimento.
E in fondo, dato che ultimamente sono anche un’insegnante, faccio un favore a me stessa: per insegnare bisogna avere in mente com’è essere studenti.
Con la formazione permanente cerco di garantirmi, il più a lungo possibile, questa condizione a volte scomoda a volte privilegiata, ma sempre stimolante!

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